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“Per ora noi la chiameremo felicità” il nuovo disco de LLDCE

Dopo i fiumi di parole e i meritati elogi della stampa, i premi della critica (tra cui il Tenco) e gli innumerevoli spettacoli dal vivo, tornano Le luci della centrale elettrica. Prepotentemente entrati nell’immaginario intellettuale collettivo italiano nel 2008 col disco di debutto Canzoni da spiaggia deturpata, si ripresentano citando una frase di Leo Ferrè (cantautore e poeta francesce). Il giovane artista ferrarese Vasco Brondi, che del progetto Le luci della centrale elettrica è l’ideatore, svela il titolo del secondo album: “C’è una frase di Leo Ferrè che mi ha colpito, La disperazione è una forma superiore di critica, per ora noi la chiameremo felicità. Ecco.. il titolo arriva da lì”.

Ed è un titolo che racchiude tutto il senso del percorso de Le luci della centrale elettrica, sia per i contenuti (canzoni spesso disperate, ma che, appunto, racchiudono tutta la critica e l’analisi acuta e poetica dell’autore Vasco Brondi verso il mondo che ci circonda) che per quella propensione all’uso e alla ricerca maniacale della parola, che con Le luci della centrale elettrica, in un mondo devastato dalle immagini, dalla frammentarietà e fuggevolezza della cultura contemporanea, ritorna ad essere vera protagonista, unico baluardo che ci potrebbe traghettare dalla disperazione alla felicità.

Basta scorrere i testi del nuovo disco per capire la forza mastodontica delle parole che ondeggiano come un flusso di coscienza in questo secondo disco de Le luci della centrale elettrica. 

Le parole “pensate e sofferte” che si sono fatte strada con forza nell’immaginario collettivo italiano, che hanno fatto vincere il premio Tenco a Le luci della centrale elettrica sono ancora qui, inesorabili, a dirci quanto Vasco Brondi sia un autore con la A maiuscola.

Per ora noi la chiameremo felicità è quindi un disco. Un disco che potrà piacere o non piacere a livello musicale.

Ma è soprattutto, ancora una volta, un documento che pulsa vita, amore, disperazione, felicità in ogni singola parola.

“Le canzoni”, dice ancora Vasco,  “parlano di lavori neri, di licenziamenti di metalmeccanici, di cristi fosforescenti, di tramonti tra le antenne, di guerre fredde, di errori di fabbricazione, dei tuoi miracoli economici, di martedì magri e di lunedì difettosi, di amori e di respingerti in mare, insomma delle solite cose. C’è questa orchestra minima, di quattro persone in una stanza, di archi negli amplificatori, di chitarre distorte, di organi con il delay, di acustiche pesanti e di parole nei megafoni”. Questo e altro ancora in Per ora noi la chiameremo felicità.

Insieme a Vasco Brondi, a modellare queste canzoni, tre artisti di grande spessore, che hanno dato linfa, con il loro lavoro, alla musica italiana; Stefano Pilia (Massimo Volume) Rodrigo D’erasmo (Afterhours) Enrico Gabrielli (Calibro 35, Vinicio Capossela, Mike Patton).

Una squadra di lavoro fortemente voluta, che conferma quanto Le luci della centrale elettrica sia un progetto in continua evoluzione, con collaborazioni sempre diverse, una sorta di collettivo in cui Vasco Brondi è solo il comune denominatore.

La copertina e il booklet del disco sono stati curati da Andrea Bruno, ovvero uno dei più importanti disegnatori underground italiani (Premio micheluzzi, migliore disegnatore 2010 al Comicon di Napoli).

VASCO BRONDI SUL DISCO

Le canzoni hanno abbandonato alcuni temi e sono andate a toccarne altri. Quello che succede tutti i giorni, l’attualità come la chiamano i giornali. Una realtà normale e tormentata, una realtà normale e quindi tormentata in contrasto con l’irrealtà televisiva e mediatica.

Il lavoro e il non-lavoro: i call center, i pochi giorni liberi, i contratti che non rinnoveranno, i voli di trenta metri dalle impalcature , l’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici, venderemo le nostre ore a sei euro.

L’immigrazione: la migrazione dei rumeni e delle rondini e dei gabbiani intercettati dai reattori degli aerei, le navi ferme immobili tra l’Italia, Malta e la Libia, le puttane in viale Europa su cui continua a nevicareLa sicurezza nazionale: ronde di merda nel regno dei cieli, e di notte le pattuglie che inseguono le falene e le comete come te.
L’insicurezza di poter pagare l’affitto: mi urli che il tuo cuore non è un bilocale da trecento euro al mese.
Forse è un disco sul malinteso senso del progresso, dei progressi che sono solo tecnologici. Sono tutti temi che fanno da sfondo a delle storie vere, a degli amori di tutti i tipi.
È un disco più politico ma ancora con meno bandiere da sventolare. Politico perché parla dei rapporti tra le persone, delle difficoltà e della felicità, non perché parla di partiti. Un disco che dalla provincia arriva al mondo, alle ragazze kamikaze, a Putin, alle succursali delle grandi aziende italiane nell’Europa dell’est, alla Cina.
Sono tutti panorami di sfondo, dentro c’è sempre questa specie di amore e questi sogni fortissimi, questi sogni disperati che a volte sfondano i soffitti.

A differenza delle altre canzoni forse queste parlano anche di felicità, e il nostro ridere che fa male al presidente.
Insieme a Canzoni da spiaggia deturpata e a Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero va a formare una specie di Trilogia della periferia. 

 Musicalmente c’è questa orchestra di quattro persone. Un orchestra che esce dagli amplificatori. Gli archi, gli organi, i pianoforti, le chitarre. Come se l’Italia se esplodesse potesse fare quel rumore e quella melodia. Ci sono degli arrangiamenti venuti fuori da soli, è sempre scheletrico ma più dettagliato, più colorato.

Vasco Brondi

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